A distanza di anni dalla condanna definitiva di Alberto Stasi per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, il caso di Garlasco torna nuovamente al centro della cronaca.
L’elemento centrale che continua a lasciare irrisolti molti dubbi riguarda proprio l’arma del delitto: una questione che, nonostante le numerose indagini e sentenze, non ha mai trovato una risposta definitiva. L’ultima inchiesta, avviata dalla Procura di Pavia, sembra voler colmare proprio questa lacuna investigativa.
L’arma mai trovata: un nodo irrisolto nella condanna di Stasi
Fin dalla prima fase del procedimento penale, le autorità non sono riuscite a individuare con precisione l’oggetto utilizzato per uccidere Chiara Poggi nella villetta di via Pascoli, la mattina del 13 agosto 2007.
Nella sentenza che ha portato alla condanna di Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, i giudici parlano di lesioni compatibili con un oggetto contundente, ma non indicano mai in modo certo quale sia stato effettivamente usato.
Le ferite rinvenute sul corpo della giovane vittima non erano omogenee: alcune risultavano da colpi inferti con forza, altre invece sembravano più nette, come provocate da un oggetto tagliente. Questa eterogeneità ha sempre messo in discussione l’ipotesi di un’unica arma.
Le prime ipotesi: forbici, martello, ferro da stiro
Durante le prime fasi delle indagini, tra gli oggetti sospettati ci furono delle forbici da sarta, ritenute potenzialmente compatibili con alcune ferite. Successivamente, gli inquirenti valutarono l’ipotesi di un martello da muratore, a causa della natura contundente dei colpi alla testa.
Nel 2012, il padre di Chiara Poggi riferì la scomparsa da casa di un martello a coda di rondine, utilizzato per spaccare bancali, che però non venne mai ritrovato né collegato con prove oggettive all’omicidio.
Nel tempo, tuttavia, le ipotesi si sono moltiplicate: una telefonata anonima suggerì che l’arma potesse essere un ferro da stiro, mentre una testimonianza, poi ritrattata, parlava di una donna vista fuggire in bicicletta con un oggetto voluminoso in mano.
Da questa segnalazione nacque la teoria dell’attizzatoio da camino: una pista che ha portato i carabinieri, lo scorso 14 maggio, a perlustrare una zona del canale di Tromello.
Nuove scoperte: accette, pinze e la testa di un martello
Nel corso della recente perlustrazione, gli investigatori hanno ritrovato diversi oggetti ritenuti compatibili con una possibile arma del delitto: si tratta di una pinza da camino, due accette e la testa di un martello. Tutti questi reperti sono attualmente sotto esame tecnico-scientifico, anche se per il momento non è stato stabilito un nesso diretto con l’assassinio della giovane Chiara.
La rilettura dei dati autoptici, intanto, apre la possibilità che non sia stato utilizzato un solo oggetto, ma almeno due. Il medico legale Marco Ballardini, nella sua relazione, osservava che alcune ferite — come i tagli alle palpebre — non sembrano compatibili con un’arma contundente, ma piuttosto con uno strumento dotato di filo affilato o punta acuminata.
Due armi per un delitto: la nuova ipotesi investigativa
Dalla consulenza medico-legale emerge un dettaglio fondamentale che oggi, più che in passato, sembra prendere corpo con maggiore convinzione: l’assassino potrebbe aver usato due armi diverse per colpire Chiara. Una pesante e contusiva, forse un martello, per tramortirla; e un’altra più precisa, tagliente, per infliggere le ferite minori. Anche la frattura alla mascella destra presenta infatti caratteristiche che non coincidono con un singolo tipo di colpo.
Questa teoria, prima solo ipotetica, oggi viene considerata con maggiore attenzione dagli inquirenti, che non escludono affatto un’aggressione avvenuta con più oggetti — e, forse, da più mani.
Le intercettazioni su Andrea Sempio e il nuovo incidente probatorio
Intanto, gli investigatori stanno tornando a esaminare materiali risalenti al 2017, anno in cui Andrea Sempio fu iscritto nel registro degli indagati, salvo poi vedere la propria posizione archiviata. Sono ben 806 i file audio raccolti tramite intercettazioni ambientali effettuate all’interno di un’autovettura. All’epoca, la Procura generale di Milano giudicò questi contenuti “privi di rilevanza”, ma oggi vengono considerati con occhi diversi.
Particolare attenzione è rivolta a due elementi: le telefonate fatte a casa Poggi e un ticket sanitario, registrato il giorno dell’omicidio. Questi dettagli, ritenuti in passato secondari, ora vengono riconsiderati nel quadro di un’indagine che si è riaperta con un obiettivo preciso: colmare le lacune lasciate da un processo che, pur avendo portato a una condanna, continua a lasciare zone d’ombra.
L’incidente probatorio fissato per il 17 giugno potrebbe rappresentare un punto di svolta nel caso Garlasco. La possibilità che siano state usate due armi e l’esistenza di nuovi reperti potenzialmente rilevanti riaprono un capitolo che si credeva ormai chiuso. E mentre si attendono le nuove perizie, una cosa è certa: la verità su come, con cosa e forse da chi è stata uccisa Chiara Poggi, è ancora lontana dall’essere chiarita.