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Pubblico in lacrime per Marracash: il live diventa un film sull’anima

Pubblico in lacrime per Marracash: il live diventa un film sull’anima

«Come potrei vivere senza la mia anima? Così pura, così luminosa». Sono parole che Marracash rivolge a Madame durante uno dei momenti più toccanti del suo spettacolo, mentre i due artisti condividono il palco e l’anima con il pubblico. Il duetto su L’anima si trasforma in un vero e proprio quadro vivente: i loro sguardi, la distanza annullata, il respiro condiviso. Più che una canzone, una sospensione emotiva, una scena cinematografica impressa nella memoria degli spettatori.

Ma quella di Marracash non è una semplice esibizione. È un’esperienza multisensoriale, una narrazione potente e strutturata, curata in ogni dettaglio. Un viaggio interiore e collettivo in cui chi assiste si trova coinvolto non solo come pubblico, ma come parte integrante di un racconto. Lo dimostra la tappa torinese allo Stadio Olimpico, dove oltre 37.000 persone non hanno assistito a un “concerto” nel senso tradizionale del termine, ma a una vera e propria immersione artistica.

Il primo rapper italiano a conquistare gli stadi con un “concept show”

Il tour, iniziato il 6 giugno da Bibione, segna una svolta storica per il panorama rap italiano: Marracash è il primo artista del genere a portare uno spettacolo negli stadi. Sette date sold-out, più di 270.000 biglietti venduti, numeri da record che confermano non solo la popolarità del rapper, ma anche la profondità del suo impatto culturale.

A 46 anni, Fabio Rizzo – il nome dietro l’identità Marracash – ha alzato l’asticella trasformando il palco in un ibrido tra concerto, teatro visivo e pellicola di fantascienza. La scenografia non è mai solo sfondo, ma parte viva del racconto. Ogni transizione visiva, ogni cambiamento di luce e colore, racconta una fase del suo percorso personale.

Sei atti, tre album, una visione

Lo spettacolo si articola in sei atti, ognuno dei quali prende ispirazione da uno dei suoi tre ultimi album: Persona, Noi, Loro, Gli Altri e il recentissimo È finita la pace. Quest’ultimo, nato in un periodo storico e personale molto complesso, è stato intitolato – come spiega lo stesso artista – quando il mondo sembrava esplodere sotto il peso di eventi sempre più cupi. «Avevo bisogno di un titolo che contenesse tutto ciò che stava succedendo», ha raccontato. «E quel titolo si è imposto da sé, diventando quasi inevitabile».

Sul palco, Marracash si spoglia simbolicamente delle sue maschere. Passa dal nero assoluto dell’identità Marracash al beige neutro di Fabio, in un’alternanza che simboleggia il conflitto e l’integrazione tra persona pubblica e privata. A fare da voce narrante c’è Matilde De Angelis, che interpreta un’entità sospesa, un occhio che osserva tutto da una bolla, guidando lo spettatore attraverso i meandri della mente dell’artista. È il filo conduttore tra l’umano e l’artificiale, in una scenografia invasa da robot, giochi di luce taglienti e visioni ispirate a un futuro distopico.

Nessun effetto speciale fine a sé stesso: solo verità

In apertura, Marracash mette subito in chiaro la sua visione: «Niente sorprese o ospiti last minute. Solo io, la mia storia e la mia gente». Una dichiarazione di intenti forte, che dà subito il tono dello spettacolo. Niente fronzoli, niente scorciatoie emozionali. Solo autenticità, raccontata in modo crudo, onesto, e a tratti scomodo.

Per oltre due ore, il pubblico viene travolto da un flusso continuo di immagini, suoni, parole, momenti di pura intensità emotiva. Tra questi, spicca anche l’apparizione della sua storica manager Paola Zukar, che lo raggiunge in scena dopo l’esecuzione di Nemesi, scuotendolo simbolicamente. Un gesto semplice ma carico di significato, come a ricordare che ogni artista ha bisogno, ogni tanto, di essere riportato a sé stesso.

L’epilogo con “Happy End”: non una fine, ma una trasformazione

Il gran finale arriva con Happy End, ma non si tratta di un congedo. È piuttosto un momento di consapevolezza, il raggiungimento di un punto d’arrivo che non chiude, ma trasforma. Una fine che, in realtà, suona come un nuovo inizio. Marracash, ormai, non è più soltanto un rapper: è diventato autore, regista, architetto della propria narrazione. E quella storia, che è la sua, parla inevitabilmente anche di tutti noi.

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