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Primo Maggio a ritmo di marketing: il Concertone diventa una playlist patinata. Maria De Filippi in arrivo?

Primo Maggio a ritmo di marketing: il Concertone diventa una playlist patinata. Maria De Filippi in arrivo?

Il Concertone del Primo Maggio a Roma, che un tempo rappresentava una delle più importanti occasioni per riflettere sul significato profondo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, sembra oggi essersi trasformato in un grande spot musicale.

Un evento svuotato del suo spirito originario, che ha ceduto il passo a un gigantesco carosello mediatico, dove l’ideale dell’impegno sociale ha lasciato spazio alla promozione discografica, agli hashtag e all’intrattenimento senz’anima.

Se un tempo il palco di Piazza San Giovanni era un punto di riferimento per chi voleva alzare la voce contro le ingiustizie del mondo del lavoro, ora pare dominato dalla logica dell’apparenza.

La sensazione è quella di assistere a una lunga sequenza da playlist algoritmica, una colonna sonora ben confezionata ma priva di quell’urgenza politica e civile che dovrebbe caratterizzare una giornata tanto simbolica.

Leo Gassmann apre con “Bella ciao”, ma l’impegno resta in superficie

A dare il via all’edizione 2025 del Concertone è stato Leo Gassmann, che ha interpretato Bella ciao con compostezza e voce limpida. Tuttavia, l’esibizione ha lasciato perplessi molti osservatori: un brano così carico di significati, cantato da un volto noto ma estraneo alla fatica quotidiana del lavoratore medio, è sembrato più un gesto di facciata che una presa di posizione reale.

Un’apertura che ha sancito, seppur involontariamente, il tono di un evento sempre più distante dalla protesta e sempre più vicino al marketing.

Tra luci e ombre: chi ha lasciato il segno

Nonostante il generale appiattimento, alcuni artisti hanno saputo restituire spessore all’evento. Le Bambole di Pezza hanno portato sul palco un’energia punk autentica, grazie anche alla voce potente e graffiante di Cleo. Gli Eugenio in Via di Gioia hanno colpito nel segno con la delicatezza poetica di Altrove, mentre Giulia Mei ha saputo raccontare il lavoro femminile con profondità e originalità, senza scadere nella retorica. Anna Castiglia ha offerto un cantautorato sofisticato e meritevole di più visibilità.

Dente ha rappresentato una rara eccezione tra tanti performer confezionati, mentre i Patagarri hanno avuto il coraggio di scandire un “Free Palestine” che ha acceso dibattiti e provocato reazioni, come la protesta della comunità ebraica. Giorgio Poi, con la sua interpretazione disincantata di Estate, ha riportato alla mente il cantautorato italiano più intimista. Tra gli altri da segnalare: I Benvegnù con la loro intensa malinconia, Ermal Meta e Noemi nel duetto One, Lucio Corsi come esempio di originalità non piegata al mainstream, e Brunori Sas, ormai figura consolidata del panorama musicale italiano.

Il resto è vetrina: quando la musica si svuota

Il problema, però, è che questi momenti di qualità sono stati sommersi da un mare di esibizioni senz’anima. Gaia, tra twerk e coreografie ammiccanti, ha sollevato interrogativi sul senso del suo intervento in un contesto che dovrebbe essere sociale, non solo scenografico. Shablo, Joshua, Tormento e Guè hanno rispolverato il revival hip hop senza offrire nulla di realmente nuovo. E poi nomi come Tredici Pietro, Ele A, Pierdavide Carone, Legno, Gio Evan: presenze discutibili, più adatte a uno spot pubblicitario che a un palco di protesta.

Sarah Toscano, onnipresente dopo Amici, è apparsa spaesata insieme a Carl Brave, mentre Fulminacci – che in passato aveva promesso molto – sembra oggi l’imitazione di Daniele Silvestri. In questa sequenza disordinata, è mancata una direzione artistica coerente, capace di legare le esibizioni a un messaggio unitario, a un’identità condivisa.

A completare il quadro, la solita schiera di artisti pop buoni per ogni occasione: Achille Lauro, Giorgia, The Kolors, Rocco Hunt, Ghali, Elodie, Franco 126, Gabry Ponte. Ottimi performer, certo, ma ormai prevedibili. Ogni loro apparizione sembra una copia della precedente, con zero rischio, zero empatia con il contesto, zero sorprese. Nessun duetto inaspettato, nessun momento autentico. Eppure, sarebbe bastato rivedere l’esibizione chitarra e voce di Gianluca Grignani nel 2016 per ricordarsi cos’è davvero il Concertone.

Dal palco del dissenso a contenitore senz’anima

Un tempo questo evento era un’occasione per spogliarsi dai filtri imposti dalla promozione continua, per ridare respiro all’autenticità e alla denuncia. Oggi, invece, è diventato l’ennesimo prodotto da consumare, omologato e senz’anima. Il Concertone si è piegato alle regole dell’intrattenimento generalista, perdendo la sua natura alternativa e accogliente verso chi ha davvero qualcosa da dire.

In un’epoca in cui il lavoro è sempre più precario, in cui la politica cerca di silenziare le voci critiche e le multinazionali influenzano anche l’arte, il Concertone avrebbe potuto (e dovuto) essere un luogo di resistenza. Ma ha preferito diventare una vetrina per selfie, un feed musicale perfetto per Instagram. Forse, a questo punto, sarebbe più onesto affidarlo direttamente a Maria De Filippi, inserire una giuria, mostrare i dietro le quinte e chiudere la serata con un televoto. Sarebbe più coerente con ciò che è diventato.

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