Dopo essere stato presentato in anteprima al Festival di Cannes 2024 e aver fatto il suo percorso nelle sale cinematografiche, Parthenope, l’ultimo film di Paolo Sorrentino, sbarca anche su Netflix.
Il regista, noto per il suo stile inconfondibile e per il suo legame profondo con Napoli, regala al pubblico un’opera che rappresenta un’ode alla sua città, attraverso il ritratto della protagonista, interpretata dalla giovane e incantevole Celeste Dalla Porta.
Il suo nome, Parthenope, richiama direttamente l’antica leggenda della sirena che, secondo la tradizione, avrebbe dato origine alla città partenopea. Tuttavia, Sorrentino non vuole solo raccontare Napoli, ma piuttosto trasmettere “l’emozione e l’epicità del passare del tempo”.
Il senso di Napoli e il tempo che scorre
“Non c’è l’ambizione di racchiudere Napoli in un film perché non basterebbe insomma” afferma il regista. E infatti, più che una rappresentazione esaustiva della città, Parthenope è una raccolta di sensazioni, personaggi peculiari e visioni poetiche che la rendono un mosaico vivente di storie ed emozioni.
Tra personaggi affascinanti e stravaganti, iperboli e immagini suggestive tipiche dello stile di Sorrentino, emergono figure intense come il Vescovo Tesorone, che incarna un misto tra sacro e profano. A lui è attribuita una delle frasi più potenti del film: “Dio si è impegnato solo quando ha inventato l’infanzia felice, là dove tutto era lieve purezza; poi si è distratto, si è lasciato andare”. Le sue parole sembrano echeggiare uno dei temi centrali del film: il contrasto tra l’innocenza perduta e il peso del tempo che avanza.

Parthenope e l’amore: un viaggio tra passioni e incontri
La bellezza magnetica di Parthenope la rende oggetto di ammirazione e desiderio, mentre lei attraversa l’esistenza con una sicurezza disarmante. Il film racconta il suo rapporto con vari personaggi che ruotano intorno a lei: l’amore per il fratello Raimondo, l’affetto per l’amico Sandrino, il legame con il Vescovo Tesorone, e le interazioni con figure femminili come le attrici Greta Cool e Flora Malva. A questi si aggiungono altri personaggi emblematici, tra cui un professore interpretato da Silvio Orlando e lo scrittore John Cheever, portato sullo schermo da Gary Oldman.
Parthenope incarna la forza e il fascino della città stessa. La sua sicurezza e la sua indifferenza al giudizio altrui sono perfettamente racchiuse nella frase che pronuncia con fierezza: “Io mi chiamo Parthenope, non mi vergogno mai”. Attraverso di lei, Sorrentino dipinge un ritratto di Napoli che trascende il tempo e lo spazio, celebrandone la grandezza e la complessità.

Napoli tra elogio e critica: una visione dolce-amara
Se da un lato il film è una lettera d’amore alla città, dall’altro non manca una prospettiva più disincantata. Uno dei momenti più spiazzanti arriva con il monologo di Greta Cool, che dipinge un quadro tutt’altro che idilliaco di Napoli, descrivendone gli abitanti come “poveri, vigliacchi, piagnucolosi, arretrati”. Una provocazione forte che aggiunge profondità al racconto e sfuma i confini tra ammirazione e critica, tra sogno e realtà.
A rendere ancora più struggente questa rappresentazione è la scelta della colonna sonora: la malinconica “Era già tutto previsto” di Riccardo Cocciante, un brano del 1975 che sottolinea il senso di nostalgia e fatalismo che permea l’intero film.
Con Parthenope, Sorrentino non solo rende omaggio alla sua città natale, ma regala al pubblico una riflessione sull’identità, il tempo e l’amore. Un’opera che, tra immagini potenti e dialoghi memorabili, conferma ancora una volta il talento unico del regista nel raccontare storie che restano impresse nella memoria degli spettatori.