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Martina Carbonaro, il dramma che ci impone di guardare oltre il patriarcato: l’allarme di De Luca e Cacciari

Martina Carbonaro, il dramma che ci impone di guardare oltre il patriarcato: l’allarme di De Luca e Cacciari

L’assassinio della giovane Martina Carbonaro non è solo un ennesimo femminicidio. È il segnale, chiaro e crudele, che il nostro sistema educativo e sociale è imploso, incapace di prevenire o anche solo riconoscere i segnali di un degrado profondo che coinvolge le nuove generazioni. Solo pochi mesi fa ci si interrogava sulla morte altrettanto scioccante di Aurora Tila, sperando che fosse un’eccezione, un’anomalia, un tragico bug nel sistema operativo della società. E invece no. Aurora è stata solo la prima sveglia, ignorata.

Dall’infanzia rubata alla violenza adulta in miniatura

Troppo spesso si finge che certi orrori non possano verificarsi tra i più giovani. E invece una ragazzina, nemmeno quattordicenne, può essere uccisa con ferocia, nonostante quell’età che dovrebbe proteggerla da tutto, persino da se stessa. È un’illusione pensare che la violenza appartenga solo agli adulti: i ragazzi la osservano, la assorbono, la replicano. E così, accade che una giovanissima venga eliminata da un coetaneo con la medesima determinazione con cui un adulto spezzerebbe una vita.

Non è solo femminicidio. È un cortocircuito generazionale. È un riflesso di un’epoca dove il confine tra ciò che è lecito e ciò che è mostruoso si è assottigliato fino a scomparire.

Minori che uccidono altri minori: un’emergenza ignorata

Il fenomeno è nuovo e terrificante. L’omicidio tra adolescenti sta diventando una tendenza che cresce in silenzio, complice l’indifferenza sociale e l’assenza degli adulti. La violenza non è più solo “patrimonio” del maschio adulto: ora prende forma anche nei gesti di chi dovrebbe frequentare le medie, non il banco degli imputati.

Viviamo in una società che esige performance, che normalizza il desiderio come possesso e il capriccio come diritto. E in questo contesto distorto, gli adolescenti imitano, replicano, agiscono. I modelli? Distorti, sgangherati, derivati da subculture che si rifanno alla trap, alla criminalità spettacolarizzata, ai social iper-sessualizzati.

Le famiglie come specchi deformanti

Cosa può apprendere un ragazzino cresciuto in una casa dove il padre gioca al boss e la madre imita una bambola da vetrina, o viceversa? Forse prenderà appunti su come diventare il “bulletto alfa” tanto celebrato da TikTok e dai testi trap. E le ragazze? Troppe si ritrovano ad accettare, quasi con orgoglio, l’etichetta di “bitch”, suggestionate da modelli culturali dove il rispetto di sé è sacrificato all’ideale tossico della “pupa del delinquente” o della starlet di OnlyFans.

La normalizzazione della parola “t*oia” tra ragazzine di dodici anni, l’uso quotidiano di linguaggi carichi di sessismo e disprezzo, sono segnali che parlano chiarissimo. Ma davvero ci sorprendiamo se questi insulti si diffondono quando madri e padri condividono con i figli selfie identici, contenuti identici, atteggiamenti identici?

Alessio Tucci: 19 anni e un coltello. Ma non basta dire “assassino”

Alessio Tucci è il nome del ragazzo che ha tolto la vita a Martina Carbonaro. E sì, è corretto definirlo un femminicida. Ma fermarsi a questa etichetta è riduttivo. Chi è Alessio? Da dove viene? Cosa lo ha reso ciò che è diventato? È urgente chiederci non solo “chi ha ucciso”, ma “cosa ha armato la sua mano”. Perché a 19 anni, una persona è anche il prodotto di ciò che ha vissuto, visto, ascoltato e subito.

Le parole di De Luca: tra il paternalismo e il grido d’allarme

Nel dibattito emerso a Napoli, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha osato porre una domanda scomoda: è normale che una bambina di 12 anni abbia una relazione sentimentale senza che nessuno intervenga? Una domanda che, nel clima ideologico attuale, è stata subito bollata come colpevolizzante verso la vittima. L’influencer Valeria Angione ha replicato con forza, ribadendo che il problema è il ragazzo, non la ragazza.

Ma De Luca ha insistito: “Va bene rivendicare il diritto alla libertà, anche di vestirsi come si vuole, ma siamo sicuri che ignorare le fragilità del contesto sociale sia davvero prudente?”. Un punto, questo, che non chiede censure o restrizioni, ma forse maggiore consapevolezza e attenzione.

Cacciari: una generazione abbandonata alla violenza competitiva

Il filosofo Massimo Cacciari ha aggiunto un tassello importante: la crisi giovanile è anche figlia dell’abbandono istituzionale. Oggi i giovani sono più soli, meno sostenuti, trattati peggio di quanto lo fossero quarant’anni fa. Il diritto allo studio è evaporato. Il presalario universitario è un ricordo lontano. La scuola è tornata a essere classista. E in questo vuoto sociale, si infilano linguaggi violenti, dinamiche da sopravvivenza estrema, una competizione feroce che si traduce, in alcuni casi, in pura sopraffazione.

Aprire lo sguardo oltre le etichette

Le riflessioni di De Luca e Cacciari non sono vangelo. Possono e devono essere discusse. Ma non vanno censurate solo perché non utilizzano il termine “patriarcato”, oggi spesso brandito come unico filtro interpretativo. Le radici della violenza minorile sono più complesse. Ci parlano di famiglie assenti, istituzioni deboli, cultura dell’apparenza, crisi educativa e smarrimento etico.

Capire tutto questo non significa giustificare. Significa provare, almeno una volta, a prevenire.

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