Per decenni, la globalizzazione è stata celebrata come una forza inarrestabile capace di creare benessere e progresso per tutti. Ma oggi, il bilancio appare ben diverso. Nel suo saggio provocatorio “La globalizzazione è finita”, Rana Foroohar – vicedirettrice del Financial Times e commentatrice per la CNN – smonta le illusioni del libero mercato globale, spiegando come la corsa sfrenata alla delocalizzazione e alla deregolamentazione abbia generato enormi squilibri. Mentre poche multinazionali hanno registrato profitti record, milioni di persone in Occidente si sono ritrovate più povere, private di certezze e di lavoro.
La promessa tradita della globalizzazione
Dagli anni Novanta in poi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, sembrava che il modello liberale e capitalista occidentale avesse trionfato. I mercati venivano aperti, le barriere commerciali abbattute, e le istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale sostenevano che la globalizzazione avrebbe innalzato il tenore di vita nei Paesi in via di sviluppo. L’espansione della rete internet, i trasporti più rapidi e la delocalizzazione venivano presentati come strumenti per creare un mondo interconnesso e più equo. Sembrava l’inizio di una nuova era di prosperità condivisa.
Chi ha vinto davvero: multinazionali e Cina
Eppure, la promessa non è stata mantenuta. Invece di un “villaggio globale” equamente distribuito, si è formata una spaccatura sempre più profonda: da una parte le élite finanziarie e tecnologiche, dall’altra un vasto ceto medio impoverito e disorientato. La globalizzazione ha finito per rafforzare due attori principali: le grandi multinazionali e la Cina. Quest’ultima ha saputo sfruttare al meglio l’apertura dei mercati e la disponibilità di manodopera a basso costo per attrarre capitali e competenze industriali. Nel frattempo, l’Occidente cedeva interi settori economici, convinto che progettare software fosse più nobile che produrre lampadine. Ma mentre gli Stati Uniti scommettevano su un futuro immateriale, Pechino costruiva solide basi manifatturiere e tecnologiche.
L’Occidente ha sacrificato l’economia reale per la finanza
Rana Foroohar racconta come l’Occidente abbia consegnato inconsapevolmente il proprio vantaggio competitivo. L’illusione era che i cinesi, una volta diventati consumatori di prodotti occidentali – come gli iPhone o i Big Mac – avrebbero abbracciato anche i valori democratici. Ma così non è stato. Anzi, la Cina ha integrato il sapere occidentale nel proprio sistema economico autoritario, consolidando il controllo statale e guadagnando terreno in settori chiave come le energie rinnovabili, l’hi-tech e le biotecnologie.

Il risultato? Un mondo profondamente squilibrato, in cui l’Occidente ha smarrito la propria identità produttiva, lasciando spazio all’ascesa di movimenti populisti. L’emblema di questa reazione è l’elezione di Donald Trump, simbolo di una classe media arrabbiata e sfiduciata, illusa da promesse di un ritorno al passato glorioso. Ma quei tempi non torneranno. La realtà è che i posti di lavoro svaniti, le industrie smantellate e i distretti produttivi abbandonati non possono essere ricostruiti con slogan.
Nel frattempo, le multinazionali, arricchite dalla finanza, continuano a investire in riacquisti di azioni piuttosto che nell’economia reale, aumentando il divario tra capitale e lavoro. I salari della classe media sono rimasti stagnanti, mentre i profitti azionari volano. Il modello finanziarizzato della globalizzazione ha smesso di funzionare per la maggioranza delle persone.
Il nuovo ordine globale: cosa ci aspetta
Secondo Foroohar, è giunto il momento di ripensare tutto. Serve una nuova visione economica in cui i territori tornino centrali. Non solo le grandi metropoli dove si concentra la ricchezza, ma anche le aree rurali e periferiche che sono state abbandonate. Ripartire da lì è l’unico modo per costruire una globalizzazione diversa, frammentata in più centri di influenza e non più dominata da un’unica potenza.

La globalizzazione 2.0 sarà fatta di relazioni più localizzate, più attente al contesto sociale e meno dipendenti da una logica puramente finanziaria. Sarà un mondo post-globale, dove i Paesi dovranno imparare a valorizzare le proprie risorse interne e ripensare i propri rapporti economici e politici in modo più equilibrato.
Forse la globalizzazione non è finita del tutto, ma è cambiata per sempre. E capire questo cambiamento è fondamentale per affrontare il futuro con consapevolezza.
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