Secondo l’ultimo rapporto annuale pubblicato dall’Istat, il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali in Italia ha subito una significativa contrazione negli ultimi cinque anni. Tra il 2019 e il 2024, infatti, il potere d’acquisto è diminuito del 10,5%, un calo attribuibile principalmente alla forte crescita dei prezzi al consumo. Questa riduzione incide pesantemente sulle capacità di spesa delle famiglie italiane, aggravando le difficoltà economiche di un periodo già segnato da incertezze.
Retribuzioni lorde e potere d’acquisto: un confronto europeo
L’analisi Istat evidenzia però una differenza importante quando si considerano le retribuzioni lorde effettive per dipendente, ovvero quelle che includono anche accordi aziendali e individuali, nonché i mutamenti nella composizione del mercato del lavoro. In questo caso, la perdita del potere d’acquisto si riduce al 4,4% nel periodo considerato, un valore comunque superiore rispetto a quanto registrato in altri Paesi europei come la Spagna (-2,6%) e la Germania (-1,3%).
Nel corso del 2024, inoltre, il settore privato ha sperimentato un calo della produttività del lavoro pari al 2%, mentre la produttività del capitale ha mostrato una leggera diminuzione dello 0,2%. Questi dati mettono in luce come il rallentamento dell’economia italiana stia influenzando diversi aspetti della dinamica produttiva e salariale.
Crescita economica in rallentamento nel 2025
Le previsioni per il 2025 indicano un’ulteriore frenata della crescita economica, rispetto all’andamento già moderato del 2024. L’Istat sottolinea come tale rallentamento sia principalmente legato agli sviluppi delle politiche commerciali a livello globale, in un contesto internazionale sempre più incerto e segnato da tensioni geopolitiche. Le stime diffuse da importanti istituzioni, come il Fondo Monetario Internazionale (+0,4%) e la Banca d’Italia insieme al Ministero dell’Economia (+0,6%), confermano una crescita ridotta rispetto allo 0,7% registrato nell’anno precedente.
Queste previsioni sono però soggette a margini di incertezza, soprattutto in considerazione degli sviluppi delle crisi internazionali e delle conseguenze che queste potrebbero avere sul commercio e sugli investimenti.
La nuova geografia familiare italiana
Un capitolo importante del rapporto Istat è dedicato alla trasformazione della struttura familiare nel nostro Paese. Nel biennio 2023-2024, infatti, le famiglie composte da una sola persona sono aumentate fino a rappresentare il 36,2% del totale, mentre le coppie con figli sono scese al 28,2%. Questa tendenza riflette profonde trasformazioni sociali, dovute a fattori come l’instabilità coniugale, il calo della natalità e il ritardo con cui le coppie decidono di diventare genitori.
L’incremento delle persone sole riguarda tutte le fasce d’età, ma è particolarmente significativo tra gli anziani: quasi il 40% degli over 75 vive da solo, con una prevalenza femminile. Inoltre, le famiglie ricostituite, le coppie non sposate, i genitori soli non vedovi e le persone sole non vedove oggi rappresentano il 41,1% del totale, segnalando una trasformazione strutturale della composizione familiare italiana.
Accesso alle cure sanitarie: crescono le rinunce
Nel 2024, quasi un italiano su dieci (9,9%) ha dichiarato di aver rinunciato almeno una volta a visite o esami specialistici negli ultimi dodici mesi. Le motivazioni principali sono legate alle lunghe liste di attesa e alle difficoltà economiche nel sostenere i costi delle prestazioni sanitarie. Questo dato rappresenta un peggioramento rispetto al 7,5% registrato nel 2023 e al 6,3% del periodo pre-pandemico, mettendo in evidenza le criticità che ancora affliggono il sistema sanitario pubblico italiano.
Nonostante ciò, la spesa pubblica destinata alla sanità è aumentata passando da 123,7 miliardi nel 2023 a 130,1 miliardi nel 2024, evidenziando un impegno crescente ma che non riesce ancora a colmare tutte le esigenze dei cittadini.
Povertà e rischio esclusione sociale
Infine, il rapporto Istat sottolinea che quasi un quarto della popolazione italiana (23,1%) si trova in condizioni di rischio povertà o esclusione sociale, un valore in lieve aumento rispetto all’anno precedente (+0,3 punti). Il dato è particolarmente critico nel Sud Italia, dove la percentuale sale al 39,8%.
L’indicatore considera le persone che presentano almeno uno dei seguenti fattori di rischio: un reddito inferiore al 60% della mediana nazionale, una grave deprivazione materiale o una bassa intensità lavorativa. Il rischio povertà cresce in particolare tra i giovani sotto i 35 anni, il cui indice passa dal 28,4% al 30,5%, segnalando la vulnerabilità economica delle nuove generazioni.