Nella più recente puntata del suo talk show Corona On Air, Fabrizio Corona riporta sotto i riflettori un caso giudiziario che ha segnato l’opinione pubblica italiana: l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007. Al centro dell’attenzione, ancora una volta, c’è Alberto Stasi, condannato in via definitiva ma sostenuto da una parte dell’opinione pubblica come possibile vittima di un clamoroso errore giudiziario.
Corona, da sempre apertamente schierato a favore dell’innocenza di Stasi, utilizza la trasmissione per denunciare presunte falle investigative e giudiziarie. A supporto della sua tesi, invita un personaggio controverso e decisamente fuori dagli schemi: Francesco Bellomo, ex giudice del Consiglio di Stato, noto al grande pubblico per lo scandalo del dress code imposto ai borsisti della sua scuola di formazione giuridica, e successivamente assolto da ogni accusa.
Fabrizio Corona difende Stasi: “Un sistema giudiziario che vacilla”
Durante la trasmissione, Corona torna sulla sua analisi del caso Garlasco, già esplorato nella sua docuserie Falsissimo. Secondo l’ex re dei paparazzi, ci sono tutti gli elementi per parlare di un errore giudiziario clamoroso, frutto di investigazioni approssimative e di un sistema che ha perso di vista il principio del “ragionevole dubbio”.
Nel confronto con Bellomo, Corona pone l’accento su un paradosso giudiziario: com’è possibile che un imputato venga prima assolto due volte e poi condannato? Bellomo interviene con una riflessione che suona quasi come una lezione di diritto penale: “Il giudice deve essere come uno scienziato, meticoloso e perfetto. Perché se sbaglia, non compromette solo una vita, ma la credibilità dell’intero sistema”.
Bellomo sul caso Garlasco: “Un caso semplice, gestito malissimo”
L’ex giudice, ora divenuto figura mediatica a suo modo, sostiene che il delitto di Garlasco fosse un caso tecnicamente semplice: un omicidio avvenuto in un ambiente chiuso, con dinamiche chiare e pochi elementi da valutare. Eppure, nonostante questo, ci si è ritrovati con anni di processi, sentenze contraddittorie e un epilogo giudiziario ancora dibattuto.
Secondo Bellomo, il sistema giudiziario ha sbagliato non solo nei confronti di Stasi, ma anche nella gestione del processo mediatico, permettendo che l’opinione pubblica diventasse un ulteriore fattore di pressione sulla magistratura.

Lo scandalo Bellomo: assoluzione e polemiche che non si placano
Durante la puntata, Corona affronta senza giri di parole anche le vicende personali e giudiziarie di Bellomo. Dall’obbligo di indossare minigonne ai contratti con clausole sui fidanzati, fino alla presunta coercizione psicologica sui borsisti: un insieme di accuse che hanno portato alla sua destituzione. Tuttavia, come Bellomo sottolinea, è stato assolto da ogni capo d’accusa, con la formula “il fatto non sussiste”.
“Mi hanno trattato come una strega nel Medioevo”, afferma Bellomo con tono provocatorio. Secondo lui, la sua figura è stata distorta dai media e strumentalizzata per fare scandalo. Corona rilancia: “Il tuo problema è che non ti vestivi da Circolino”, in un siparietto che mescola ironia e denuncia sociale.
Il contratto del fidanzato a punteggio: tra distorsione e follia
Uno degli elementi più discussi dello scandalo Bellomo è la cosiddetta clausola del fidanzato a punteggio. Secondo l’ex giudice, si trattava di un elemento di riflessione per i borsisti sul proprio rapporto di coppia, volto a stimolare consapevolezza nelle scelte personali. Una logica che, però, ha fatto storcere il naso a molti.
Corona incalza: “Ma è normale prevedere queste cose in un corso di formazione giuridica?”. E, tra risate e provocazioni, emergono dettagli ancora più curiosi: corsi seguiti in hotel, assistenza didattica “personalizzata” e una netta prevalenza femminile tra i borsisti selezionati.
La puntata di Corona On Air ha sollevato molteplici temi delicati: dal caso Garlasco alla credibilità del sistema giudiziario italiano, dal ruolo dei media nei processi pubblici ai limiti della spettacolarizzazione televisiva. Corona, come sempre, si muove sul confine sottile tra denuncia e provocazione, con l’intento dichiarato di sollevare domande, anche scomode. E in questo, va detto, riesce perfettamente.