Sembrava un nuovo Rinascimento per la musica dal vivo. Dopo gli anni bui della pandemia, i concerti erano tornati in scena con una forza travolgente. Il 2023 era stato dipinto come un anno d’oro: oltre 36.000 eventi live in Italia, 23,7 milioni di presenze e un incasso complessivo vicino ai 900 milioni di euro, secondo i dati della SIAE. Una crescita a doppia cifra rispetto al 2019: +98% di spettacoli, +88% di spettatori. Ma quella che appariva come una rinascita inarrestabile sembra oggi rivelare crepe profonde.
Il 2025 si sta trasformando in un anno di frenata, e i segnali sono ovunque: tour annullati all’improvviso, concerti che restano in vendita fino all’ultimo minuto, location ridimensionate, spettacoli spostati o del tutto cancellati. A farne le spese non sono solo artisti emergenti o di nicchia, ma anche protagonisti di primo piano della scena musicale italiana.
Rkomi, Bresh, The Kolors: quando anche i big fanno un passo indietro

Il primo a sollevare polemiche è stato Rkomi. Il suo “Summer Tour 2025” è stato cancellato completamente, ufficialmente per “motivi organizzativi”. Tuttavia, indiscrezioni hanno rivelato che l’artista avrebbe voluto concerti in location più intime, coerenti con il tono introspettivo del suo ultimo album Decrescendo. La risposta degli organizzatori? Un no secco. Risultato: tour saltato.
A ruota lo ha seguito Bresh, che ha fermato il suo “Marea Tour” estivo per problemi di logistica e tempi stretti. Anche in questo caso, il sospetto è che le prevendite non fossero all’altezza delle aspettative. In piedi resta il tour autunnale nei palazzetti, ma il dubbio resta: il pubblico c’è ancora?
The Kolors, dopo il successo travolgente di Italodisco, hanno ridimensionato il proprio tour. Da grandi palasport come il Forum di Assago e il Palazzo dello Sport di Roma, sono passati a spazi più raccolti come il Carroponte e la Cavea del Parco della Musica. Una scelta che racconta molto più di mille note stampa.
Ancora più evidente è il caso di Tony Effe: dopo la visibilità di Sanremo 2025 e l’uscita dell’album ICON, ci si aspettava un’ondata di entusiasmo. Invece, la data al Circo Massimo è rimasta ampiamente sotto le aspettative e Milano è stata spostata al Carroponte, addirittura come apertura per J Balvin. Le altre tappe? Procedono a rilento.

Nemmeno i grandi ritorni storici sono esenti da difficoltà. I CCCP – Fedeli alla Linea, band culto del punk italiano, avevano programmato un evento epocale al Circo Massimo per il 30 giugno. Ma le vendite non hanno retto, e il concerto è stato spostato alla più contenuta Cavea dell’Auditorium.
La realtà economica dietro il collasso: stipendi fermi, prezzi impennati
Cosa sta accadendo realmente? L’entusiasmo del post-Covid ha probabilmente mascherato una realtà economica ben più dura. L’Istat ha certificato che tra il 2019 e il 2024 gli stipendi reali degli italiani hanno perso oltre il 10,5% del loro potere d’acquisto. In parole semplici: si guadagna quanto prima, ma tutto costa di più. Soprattutto per i giovani precari, che costituiscono una buona fetta del pubblico dei concerti.
La CGIL rileva che l’Italia ha uno dei tassi di precarietà lavorativa più alti d’Europa (circa il 15%) e uno dei peggiori dati salariali dell’intera area OCSE. E se il 2024 ha visto un piccolo rialzo delle retribuzioni (+4,5%), siamo comunque sotto ai livelli degli anni 2000, come ha ricordato anche il governatore di Bankitalia Fabio Panetta.
Intanto, il costo dei concerti schizza in alto. Nel 2023, il prezzo medio di un biglietto ha raggiunto i 37,7 euro, in aumento del 16,8% sull’anno precedente. Ma in molti casi si arriva a rincari del 200, 300 o 400% rispetto al pre-pandemia, come ha rilevato uno studio di Cromosomi Media.
Due i fattori principali:
- Dynamic pricing, un sistema di prezzi variabili che fa lievitare il costo dei ticket a seconda della domanda.
- Commissioni eccessive delle piattaforme, che arrivano a pesare fino al 27% sul prezzo finale.
Alla fine, un biglietto da 30 euro può costarne 60. E chi può permetterselo? Un giovane dovrebbe sborsare almeno 100 euro tra ticket, trasporto e spese di vitto e alloggio. Il risultato? Il pubblico rinuncia.
Non è la musica a essere cambiata. È la vita delle persone
Sarebbe facile dare la colpa all’algoritmo, alle mode passeggere, al disamore generazionale. Ma la verità è molto più concreta: il pubblico non riesce più a sostenere economicamente il ritmo forsennato di un’industria che ha scambiato il boom post-Covid per una nuova normalità.
Il 2023 è stato un’eccezione, non la regola. E oggi, con migliaia di date in calendario, la saturazione e il caro-vita fanno il resto. Il settore live non è morto, ma dovrà reinventarsi. Meno quantità, più sostenibilità. Meno illusioni, più realismo.