Massimo Lovati, avvocato di lungo corso e difensore di Andrea Sempio, è tornato a sollevare dubbi sul caso che ha scosso l’Italia: l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007 a Garlasco. Durante una recente puntata di Quarto Grado su Rete 4, l’avvocato ha rilanciato una pista investigativa alternativa, raramente presa in seria considerazione nei processi: quella del sicario. Secondo Lovati, né Alberto Stasi, l’ex fidanzato condannato, né il suo assistito, avrebbero avuto un movente credibile per compiere un crimine tanto efferato.
“Quando non c’è un movente solido, il diritto e la criminologia contemplano la possibilità dell’omicidio su commissione,” ha affermato Lovati. Le sue parole arrivano in un momento delicato, dopo la diffusione — avvenuta attraverso indiscrezioni non ufficiali — di nuovi elementi investigativi, come un’impronta palmare attribuita a Sempio rinvenuta sulle scale della cantina dell’abitazione dei Poggi. Elementi che, secondo il legale, sono stati veicolati alla stampa in violazione del segreto istruttorio.
Alberto Stasi: colpevole o capro espiatorio?
L’obiettivo di Lovati non è solo difendere Andrea Sempio dalle ombre investigative tornate su di lui, ma anche rimettere in discussione la verità giudiziaria su Alberto Stasi. Per quanto riconosca l’inattendibilità di alcune dichiarazioni rese da Stasi all’epoca dei fatti, Lovati ritiene che il ragazzo possa aver avuto un ruolo molto diverso da quello attribuitogli nei tre gradi di giudizio.
“Troppo fragile e incoerente la sua versione dei fatti,” ha spiegato l’avvocato. “Disse di aver telefonato alla fidanzata senza ricevere risposta, di essersi recato alla villetta sbagliando il numero civico, di aver provato a citofonare e infine di aver scavalcato il muro. Ma tutto questo appare poco credibile.” Tuttavia, per Lovati, l’inverosimiglianza non significa necessariamente colpevolezza, e potrebbe indicare piuttosto la presenza di pressioni, manipolazioni o paure.
Un delitto ancora senza movente certo
La Corte di Cassazione, pur convalidando la condanna definitiva di Stasi, aveva già sottolineato come nei processi non fosse mai stato stabilito un movente chiaro e definitivo per l’uccisione di Chiara Poggi. L’accusa aveva costruito due possibili scenari: da una parte una lite improvvisa, forse scaturita da tensioni nella coppia; dall’altra l’ipotesi che Chiara avesse scoperto sul computer di Stasi materiale pornografico compromettente, alcune immagini delle quali ritraevano minori, rendendole penalmente rilevanti.
Questa seconda teoria, agghiacciante, è stata spesso sottovalutata, ma resta una delle poche ipotesi con un potenziale movente concreto. Tuttavia, anche in questo caso, nessun elemento ha mai fornito la certezza necessaria a definire una dinamica univoca e incontestabile del delitto.
Un cold case che fa ancora rumore
L’intervento dell’avvocato Lovati riapre dunque interrogativi mai sopiti sull’omicidio di Garlasco. E se Alberto Stasi non fosse stato altro che un ingranaggio inconsapevole in una trama molto più complessa? E se dietro la morte di Chiara Poggi si nascondesse un mandante con motivazioni ancora ignote al pubblico?
Il caso, a quasi vent’anni di distanza, continua a dividersi tra verità processuali e dubbi mediatici, alimentati da nuovi indizi, riletture critiche e teorie alternative. La giustizia, nel frattempo, ha scritto la parola “fine”, ma per molti — inclusi esperti, giornalisti e legali — la vera storia potrebbe non essere anc